venerdì 1 novembre 2013

Questa è la vita ai tropici (confessioni di un cameriere sull'orlo sbagliato)

Questa è la vita ai tropici


Un cliente mi entra al bar, più che un bar è un Caffè, coi tavolini fuori, io ci lavoro, appunto, come cameriere ai tavoli, sono sulla soglia del bar e accolgo il cliente entrante che è un ragazzo, avrà 30 anni (si, chi ha passato i 35 quelli di 30 li chiama “ragazzi”), è un tipo un po’ schizzato, rissoso, si fa di coca ma di rado perché non c’ha un lavoro vero e la coca costa, cazzo se costa e sta protraendo i giorni di malattia per una frattura al braccio di 4 mesi prima, non c’ha voglia di tornarci là dentro, lo capisco, però anche là dentro l’han capito e non vedono l’ora che torni per licenziarlo, lui lo sa che loro lo sanno e così finché può non torna, that’s the life in the tropics, questa è la vita ai tropici, qui nel tropico del buco del culo della Toscana in questa città che in realtà è un paesone. Ed è un paesone dimmerda.
Poi tutto, come ben sappiamo, dipende dai punti di vista, ma io quando sono un po’ tranquillo, quando l’ansia mi da pace (da mia madre ho ereditato l’ansia e la miopia. Grazie mamma) e guardo dentro alle altre auto è raro che veda qualcuno sorridere. Magari hanno il macchinone. Magari hanno il macchinone con uno stereo da paura e la televisioncina cretina per anestetizzare i bambini dietro nei viaggi lunghi che se magari c’è da parlare che cazzo gli dici? Niente gli dici, stronzo, stai muto che fai meno danni. Magari ci hanno il macchinone, lo stereone, la televisioncina, la moglie piacente, l’amante figa, i soldi, la casa e Dio dalla loro parte, MA non sorridono neanche loro.
That’s the life in the tropics.
Insomma il ragazzo entra, io lo saluto sulla porta, gli dico ciao Gigi e sorrido, lui mi guarda dritto negli occhi e mi dice a muso duro “Gigi sto par di coglioni, io mi chiamo Vittorio” e io capisco che oggi non sarà una buona giornata e che arriverò al termine delle 10 ore ancora una volta spossato e svuotato e che per quanta grinta ci metta alla fine non dico che vincono loro ma insomma mi lasciano dolorante. Dolorante dentro dico. Si, anche fuori, tipo ai piedi che a forza di marciare su e giù tra il bancone e i tavolini in piazza a portar cose che io non posso bere (!) finisco coi piedi che sono un po’ provati ma essi sanno che se la sera poi voglio i miei giochini (costosi) devono faticare e muti che poi stan bene anche loro dopo, quindi che non rompano. Guardo fuori con le mani dietro la schiena a perfetta postura del cameriere perfetto e quindi è inutile che m’incazzi ogni volta che mi chiamano “cameriereee” dal tavolo, anche se tutte le volte mi sento come se mi dicessero “ehi stronzo, vieni qui”, e qualcuno lo usa anche quel tono, meno male che sono 25 anni che lo faccio questo lavoro (che non è il mio lavoro!) e sono indurito anch’io come i miei piedi e in genere so come gestire la situazione ma insomma, come dicevo, alla fine delle 8/10 ore è fiaccante questo stare all’erta sorridente e ansioso, candido come una colomba ma vigile come il serpente che mi sento sempre vagamente un filino demente, come da mio copione sovente. Qualche raro imbecille qualche volta mi chiama schioccando le dita e io gli dico che ha visto veramente troppi, troppi film brutti. Intanto sono pronti i 2 Mojito e il Margarita per il 13, me li berrei tutti e 3 in 20 secondi netti come facevo in quel mega locale dove lavoravo a Milano, un Tex-Mex, capienza 1200 persone, milleduecento mica discorsi, di texano-messicano quel locale aveva i somberos appesi alle pareti e la cucaracha  come musica che dopo 3 ore ti aveva già stracciato i coglioni, per il resto; i cuochi, gli aiuto cuochi, i lavapiatti erano tutti cinesi che producevano come formiche ipervitaminizzate, i barman erano siciliani, i proprietari decisamente milanesi e i camerieri nomadi. Ai camerieri era proibito bere, quindi facevo la comanda ai barman, che stavano preparando 150 cose differenti per il solito migliaio di persone che tutte le sere c’erano in quel localone, con quelle 3 mega-sale, tutto in legno, accanto al mitico Hollywood, il locale più stronzo d’Europa. Spesso Vip dentro al mio Tex-Mex, tutte le sere tavolate di modelle, belle, bellissime, troppo magre, troppo giovani, ma soprattutto, per carità, non le fare parlare ! Se le guardavi fisse negli occhi acquosi potevi vederci il cervello dentro che galleggiava strafatto di cocaina che (tra l’altro) aiuta a non sentire appetito.
That’s the life in the tropics.
Nel corso della seratata macinavi miglia a velocità di marcia sostenuta, noi camerieri eravamo così allenati che se non fossimo stati così tutti ciechi e doloranti dentro, avremmo potuto gareggiare per le olimpiadi, cazzo, avremmo potuto gareggiare per i 10mila metri con la sigaretta in bocca. Insomma, per poter bere, io portavo ai barman la comanda per uno dei miei tanti tavoli già in uso, tornavo dopo 5 minuti, prendevo i drink, voltavo l’angolo, trangugiavo tutto e buttavo la comanda che sarebbe dovuta arrivare alla cassa, sempre col terrore di essere scoperto che mi procurava come immaginerete un'altra po’ di ansia. Facevo così anche per il cibo, andavo in bagno col mio mega burger chili (squisito !) e mentre trangugiavo bocconi che avrebbero strozzato un rinoceronte, facendomi dei groppi in gola che scatenavano lacrimoni da cartone animato, cercavo di evitare di chiedermi che cazzo di vita fosse questa, a lavorare tutte quelle ore per poi tornare in un monolocale così fatiscente che non l’avrebbe voluto nemmeno la piccola fiammiferaia a bere fino a svenire. Ero a Milano per tutt’altri motivi che non fossero il sopravvivere in una metropoli ma chettelodicoaffare ? That’s the life in the tropics. Ma insomma qui, al Caffè, in Toscana, non lo posso fare, io ho smesso di bere, ho smesso per me, per la mia famiglia alla quale rendevo impossibile l’esistenza; davo loro un ottimo pretesto per essere infelici, voglio dire, da qualche parte uno deve attingere per la propria infelicità e allora si attacca dove può. Ecco, loro si erano attaccati ai miei demoni e ora sono un po’ infelici e mia madre è in ansia (grazie mamma) perché non trovano un buon pretesto che regga il confronto e comunque per quanto mi riguarda se la situazione di prima, da alcolista, era il peggio,  mentre questo dovrebbe essere il meglio vi dirò che la nostalgia è tanta ma si tiene duro e si tira dritto. Per chi e perché poi si tira dritto mica lo so. Sono domande che evito accuratamente cercando qualche altro materiale che faccia da sostituto all’alcool, come dicevo ognuno si attacca dove può, that’s the life in the tropics. Porto i 2 Mojito e il Margarita al tavolo; il tavolo è composto da 3 ragazze carinissime, un po’ civettuole, tutte vestite da piazza del centro di questo paesone, parlano tutte e 3 contemporaneamente che riescono a capirsi solo loro e forse neanche, ma fa niente, l’importante è dire, se poi gli altri non capiscono sono fatti loro, no ? Appoggio i bicchieri in una torsione del busto innaturale per tenere il vassoio dritto con la sinistra e appoggiare con la destra sul tavolo il beverame, le ginocchia un po’ flesse, in una postura che non ho mai capito se mi fa sembrare un cretinio ma di sicuro me lo fa sentire, dico loro, ehi, dentro c’è un buffet a vostra disposizione, è gratis, dico loro, va con le consumazioni che avete preso, potete prendere tutto quello che volete tranne i tavolini e la macchina del caffè, loro si zittiscono, mi guardano come se l’avessi tirato fuori e stessi per pisciargli sul tavolino e fanno la faccia, quella faccia che mi dice che non hanno capito ma che qualsiasi cosa abbia detto è bene che non mi allarghi e che resti nel mio ruolo di cameriere, io dico loro era una battuta, loro fanno aaah dentro la testa, mi sorridicchiano freddine e mi ringraziano dandomi del lei e facendomi capire che non me la darebbero nemmeno se le sposassi e che sono anche un po’ in là con l’età per quanto le riguarda, che un 37enne che fa il cameriere non è che sia proprio il loro target di uomo e che sarebbe più conveniente per me se smettessi di fare sempre il coglione, io torno via dal tavolo verso una nuova e meravigliosa comanda a un tavolo di francesi, nessun problema per me, parlo 3 lingue, 4 se si conta l’aretino, anche se spesso mi pare di parlare una lingua ai più ignota, nessun problema se i francesi vogliono la lista dei vini, nessun problema se mi tengono al tavolo chiedendo cose assurde tipo a che ora apre il museo etrusco (la risposta giusta e diretta sarebbe e che cazzo ne so io di quando apre il museo etrusco!?) e facendomi perdere tempo e innervosendo gli altri tavoli che si contagiano il panico tra loro e cominciano ad andare in fibrillazione perché sono già 4 minuti, cazzo, che si sono messi a sedere, cazzo, che fa il cameriere, cazzo, dorme ? Nessun problema quando mi fanno ripetere nella loro lingua del cazzo per 3 volte i gusti di gelato che abbiamo, rificcano la testa dentro al menù, dove, come ho già loro spiegato NON CI SONO SCRITTI i gusti del porco gelato, puttana Eva, glieli devo dire io, e glieli ho già detti 3 volte, tirano su la testa dal menù e mi chiedono candidi e un po’ scocciati, insomma il pistacchio non ce l’avete èh ? E io so con assoluta certezza che prima o poi me lo farò quel cazzo di bicchiere, èh se lo so, e so anche che quel primo bicchiere sarà quello di troppo perché per quelli come me 1 è troppo e 100 mila non bastano.
That’s my life in my tropic.
Questa è la mia vita del cazzo in questo mio tropico del cazzo.


...certi clienti andrebbero serviti cosi !
Voglio vedere come fai a bertelo adesso !


Fatuwski

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